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Alla Pugacheva contro Putin: la popstar russa costretta a fuggire in Israele dopo le minacce al marito

Alla Pugacheva contro Putin: la popstar russa costretta a fuggire in Israele dopo le minacce al marito

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Da osannata popstar a nemica del popolo in esilio. Alla Pugacheva, forse la più nota cantante russa, è stata costretta alla fuga in Israele dopo l’accusa mossa a metà settembre al marito, di essere un «agente straniero». Accusa arrivata a seguito della pubblica condanna della guerra in Ucraina da parte dell’artista moscovita.

«Ringrazio il mio esercito plurimilionario di fan per il loro amore e il loro sostegno, per la capacità di distinguere la verità dalle bugie», ha dichiarato la 73enne, conosciuta come la “regina della musica pop sovietica”, in un post pubblicato sul suo profilo Instagram lunedì 10 ottobre, aggiungendo: «Dalla Terra Santa, prego per voi e per la pace. Sono felice!» La cantante ha 3,5 milioni di follower su Instagram (un numero non indifferente considerando l’opposizione del regime russo alle piattaforme di Meta).

Pugacheva vanta una carriera straordinaria e soprattutto lunghissima: in attività dal 1965 quando aveva solo 16 anni, in pienissima Guerra Fredda, ha venduto più di 250 milioni di dischi, è diventata popolarissima in epoca sovietica e lo è rimasta nel corso di una carriera lunga 57 anni. È tra le persone di lungua russa più famose nel mondo ed è ricordata in particolare per successi quali il singolo del 1982 Million Scarlet Roses e per il film del 1978 The Woman Who Sings diretto da Aleksandr Orlov.

Suo marito, il presentatore televisivo e comico Maxim Galkin, a settembre si è unito a giornalisti, attivisti per i diritti umani e oppositori del Cremlino per essere stato etichettato come «agente straniero», una categoria un po’ lasca nella quale viene inclusa la maggior parte delle persone contrarie all’invasione dell’Ucraina.

La coppia, in verità, pare abbia preparato la fuga dalla Russia poco dopo l’inizio della guerra, a febbraio: Galkin, 46 anni, ha diritto alla cittadinanza israeliana in base alla Legge del Ritorno, ovvero la regola secondo la quale possono diventare cittadini israeliani tutti coloro che abbiano radici ebraiche. Pugacheva era tornata in Russia con i due figli per l’inizio del nuovo anno scolastico, inoltre è stata vista partecipare ai funerali dell’ultimo leader sovietico Mikhail Gorbaciov a Mosca. Alle ha poi fatto sentire la sua voce contro il conflitto a ovest in un accorato discorso al ministero della Giustizia russo, pubblicato anch’esso su Instagram: «Vi chiedo di includermi nella lista degli agenti stranieri del mio amato Paese, perché sono solidale con mio marito, che è una persona onesta ed etica, un vero e incorruttibile patriota russo, che desidera solo prosperità, pace e libertà di espressione nella sua madrepatria».

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L’artista ha detto che suo marito desidera «la fine della morte dei nostri ragazzi per obiettivi illusori che rendono il nostro Paese un paria e pesano sulla vita dei suoi cittadini». Secondo i media statali russi Ria Novosti, Pugacheva è stata successivamente messa sotto inchiesta per aver «screditato» l’esercito russo. Le critiche interne all’invasione dell’Ucraina sono state accolte con una feroce repressione, che ha comportato multe e pene detentive per i dissidenti. Ricordiamo che chi pronuncia la parola «guerra» in riferimento al conflitto contro Kiev rischia fino a 15 anni di carcere. 

Circa 24mila russi si sono trasferiti in Israele dall’inizio della guerra e altri 35mila sono in attesa dell’espletamento delle pratiche burocratiche, secondo l’Agenzia Ebraica, che regola l’immigrazione dei semiti nel Paese. Israele ha cercato di rimanere neutrale dallo scoppio della guerra. Il Paese si affida a Mosca per facilitare le sue operazioni militari nella vicina Siria, ma ha anche dovuto affrontare le pressioni dei suoi alleati occidentali per imporre sanzioni e intraprendere azioni diplomatiche forti. Ha fornito aiuti umanitari ma si è astenuto dall’inviare assistenza militare, nonostante le critiche del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.

A giugno, il ministero della Giustizia russo ha raccomandato la chiusura dell’Agenzia Ebraica, un ente quasi governativo, per aver violato le leggi sulla privacy. Il primo ministro ad interim di Israele, Yair Lapid, ha avvertito che la chiusura degli uffici dell’Agenzia Ebraica sarebbe un duro colpo per le relazioni bilaterali. Sicuramente le relazioni tra i due Paesi non hanno tratto giovamento dalla retorica del ministro degli Esteri russo Lavrov, il quale (peraltro in un’intervista al programma italiano Zona Bianca) aveva dato dell’ebreo al presidente ucraino Zelensky, e per non farsi mancare niente disse che in fondo anche Hitler era ebreo. Il capo dell’Ente nazionale per la memoria dell’Olocausto Yad Vashem Dani Dayanha aveva bollato le affermazioni di Lavrov come «false, deliranti e pericolose e degne di ogni condanna», mentre Israele aveva chiesto scuse formali all’ambasciatore russo.

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Nicolò Guelfi , 2022-10-10 20:49:27 ,
www.lastampa.it

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