La fuga dei medici di famiglia, 100 mila torinesi sono senza medico di fami
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TORINO. «Dequalificazione della figura professionale», «prospettive future ulteriormente peggiorative», «condizioni di lavoro impossibili», «stanchezza e svilimento», «default della medicina territoriale».
Questa volta a lasciare non è un medico a fine carriera, alle soglie della pensione, ma una giovane dottoressa. Sua la lettera, inviata agli assistiti, in cui annuncia con rincrescimento la decisione, scusandosi per i disagi che inevitabilmente arrecherà. «Credo sia stata persa una grande occasione di riforma e rinnovamento delle cure primarie e di qualità di assistenza», scrive la dottoressa Giulia Basso.
Una scelta personale ma non isolata, nel senso che non è la prima e purtroppo non sarà l’ultima. Un altro vuoto da coprire, un altro buco nella rete già smagliata dei medici di famiglia. Di questi parliamo: di un universo in fibrillazione, né più né meno di quanto accade tra i medici ospedalieri. I pediatri, a cortese richiesta, vi risponderanno altrettanto.
Medici in fuga, quindi, ai vari livelli. Medici che in tutti i casi non nascondono l’amarezza, come precisa la dottoressa, «nell’abbandonare un lavoro in cui ho creduto e investito molto». Seconda considerazione: il fenomeno, particolarmente accentuato ed evidente nelle aree montane, comincia ad interessare anche i centri più grandi. E la stessa Torino. «È un problema che riguarda tutta Italia, il Piemonte paga il prezzo di avere un territorio particolarmente montuoso, con una miriade di piccoli comuni – spiegava pochi giorni fa l’assessore alla Sanità Luigi Icardi – In questo caso, più che i medici, mancano gli incentivi a lavorare nelle zone disagiate». Gli incentivi e molto altro, par di capire, considerato che anche nel capoluogo aumentano i posti vacanti e quindi il sovraccarico dei dottori ancora in linea.
Emblematici i dati forniti dall’Ordine dei Medici di Torino. In Piemonte, tra il 2017 e il 2022, sono andati in pensione circa novecento medici di medicina generale – ricordava Guido Giustetto, il presidente – Si stima che altri 1700 andranno in pensione tra il 2023 e il 2032, con la punta più alta nel 2023/24: il numero di medici in formazione è largamente insufficiente a rimpiazzare i pensionati». E quelli che, come abbiamo visto, lasciano a inizio corsa.
È la stessa regione nella quale, rispetto a dieci anni fa, ci sono circa cinquecento medici ospedalieri in meno: «Ogni anno il 4 per centodei medici piemontesi lascia volontariamente il lavoro, uno al giorno sceglie di andare a lavorare nel privato o all’estero». Stessa emoraggia nel resto d’Italia.
Se poi chiedete il perché a loro, cioè ai medici, vi sentirete ripetere con sfumature diverse gli stessi concetti. «Perché i carichi di lavoro sono insostenibili, la burocrazia è massacrante, il rischio professionale elevato, molti pazienti che hanno bisogno di cure ospedaliere vengono dirottati verso le cure domiciliari con rischi enormi per loro stessi e per i medici – elenca il dottor Antonio Barillà, segretario Smi Piemonte – Vuole che continui? Per la totale assenza di tutele, ovvero ferie, malattia, infortuni, maternità). Perché il rapporto con i pazienti si è deteriorato, perché aumenta la disaffezione verso la professione. Insomma: resistono solo coloro che sono costretti a lavorare».
Ecco perché sarebbe un errore limitare al Piemonte, e alle zone montane del Piemonte, una deriva che sta serpeggiando in tutto il Paese. E che se non governata, promette di lasciare milioni di persone senza l’assistenza di base. Poi ci si stupisce perché la gente prende d’assalto i pronto soccorso.
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, 2022-10-09 09:05:46 ,