La guerra in Ucraina si risolverà (anche) con la politica. Ma diplomazia non sia sinonimo di rinuncia
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Prima o poi un negoziato ci sarà, fa parte dei limiti intrinseci a ogni conflitto, l’importante è che non sia brandito come una parola d’ordine che sa di resa, di disfatta mascherata, di offesa a un paese vittima di un sanguinoso torto e di premio all’aggressione decisa da un despota
Chi è aggredito e si difende con valore, orgoglio e abnegazione ha il pieno diritto di guardarsi le spalle e pretendere un controllo politico e direi anche morale, un controllo assoluto, sulle ragioni e gli scopi ultimi della propria condotta. Il nazionalismo ucraino non fa scandalo, è pane di pura farina, è patriottismo e insieme difesa di democrazia e libertà in un quadro europeo e occidentale, contro la prepotenza autocratica dell’invasore. Chi spalleggia l’Ucraina, i suoi soldati, i suoi civili, i suoi profughi si vede imporre dalle circostanze della guerra dei costi molto alti ma incomparabilmente minori del costo di una resa alle ambizioni di dominio dell’imperialismo russo e della sua rete di protezione. Non è soltanto una questione di valori, è anche una questione di interessi comuni. Sono cose ovvie che non vanno trascurate non soltanto nella premessa, lo schieramento, gli aiuti economici e militari, le sanzioni dissuasive, ma nello svolgimento, cioè la condotta della guerra, l’esercizio della diplomazia e, quando e come possibile, la ricerca di una via d’uscita.
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Il Foglio , 2022-10-08 06:00:00 ,
www.ilfoglio.it