Pare frivolo parlare di sentimenti mentre in Iran aumenta la contabilità dei decessi, mentre le forze di sicurezza sparano puntando agli occhi dei manifestanti, ma è proprio dai sentimenti che parte questa storia, dall’orgoglio delle donne e dalla tenerezza degli uomini, eppure mentre delle donne si parla molto, degli uomini non si dice abbastanza. Sì, fanno rumore i gesti eclatanti degli sportivi che si rifiutano di cantare l’inno nazionale, ma quello che rende davvero unico questo snodo di vita persiana, quello che va trasformando la protesta in un momento fatale per il regime, non sono i beau geste a favore di telecamera e tantomeno le marce e gli slogan struggenti urlati nei megafoni: quello che c’è di veramente dirompente in quest’autunno iraniano è una nuova normalità fatta di sguardi. Sguardi ammirati di giovani uomini che cedono la parola alle ragazze e le issano sui tetti delle macchine, sguardi rispettosi di quarantenni che abbassano il finestrino per gridare: “Barikalla!” (“Brave!”) alle studentesse che agitano il velo sopra la testa, sguardi affettuosi di uomini anziani che davanti a due bambine che cantano “Baraye”, la canzone-simbolo della rivolta, levano le mani dal deambulatore e divaricano le dita in segno di vittoria, sguardi adulti negli occhi di ragazzini disarmati che fanno scudo alle amiche d’infanzia con i loro corpi.
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Tatiana Boutourline , 2022-11-24 06:00:00 ,
www.ilfoglio.it