Mendelsohn: «Sono andato sulle tracce dei miei nonni ucraini»
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L’intervista
Mezzogiorno, 1 ottobre 2022 – 19:52
Il premio Malaparte allo scrittore americano di origini europee
di Mirella Armiero

«Ho imparato l’italiano leggendo Ferito a morte». Daniel Mendelsohn, raffinato scrittore e saggista newyorkese, ha una vera passione per l’Italia. Prima di conoscere La Capria, aveva già orecchiato la nostra lingua attraverso l’opera lirica, che amava molto fin da giovanissimo. «Con i libretti di Da Ponte ho imparato un italiano piuttosto bizzarro, inoltre usavo da autodidatta un manuale degli anni Trenta dove le frasi erano di questo tipo: “ho portato in libreria il mio mantello di lontra”. All’università incontrai una bravissima professoressa che mi sentì parlare e mi disse: devi guarire… e mi diede da leggere La Capria e Berto».
Mendelsohn viene insignito oggi, 2 ottobre, del Premio Malaparte, che quest’anno è dedicato proprio alla memoria di La Capria. Per ricordare lo scrittore napoletano, scomparso lo scorso giugno e che domani avrebbe compiuto 100 anni, si terrà oggi una cerimonia al Cimitero Acattolico di Capri, dove riposa l’urna con le sue ceneri, accanto a quelle della moglie Ilaria Occhini. E nella prima serata della manifestazione, curata da Gabriella Buontempo con l’ausilio di Michele Pontecorvo, è stato proiettato “Le mani sulla città” diretto da Francesco Rosi che lo sceneggiò insieme con l’amico La Capria. «Dudù sarebbe contento», commenta Buontempo, «del resto noi vogliamo creare una comunità di amici dell’isola, che come La Capria se la portino dentro». E così è certamente per Mendelshon, che, dice, qui ha fatto migliaia di foto.
E per quanto riguarda Napoli? L’ha trovata uguale a quella del romanzo?
«Talvolta è pericoloso cercare nella realtà quello che hai letto nei libri, l’esperienza più frequente è una leggera delusione. Come per i turisti che nell’800 cercavano la Grecia di Platone e trovavano un contadino con l’asinello che vendeva il formaggio. Ma questa divaricazione tra realtà e finzione è fonte di grande consapevolezza letteraria, può essere fruttuosa».
Con la cultura classica lei ha lunga consuetudine: è un docente e un critico letterario oltre che scrittore. E il suo romanzo più noto in Italia è Un’Odissea: un padre, un figlio e un’epopea, pubblicato in Italia da Einaudi nel 2017, in cui la storia di Ulisse si intreccia con la sua personale dello scrittore e di suo padre. Prima di questo, era uscito Gli scomparsi, anche questo di matrice autobiografica, sulla ricerca di sei suoi familiari ebrei scomparsi durante la Seconda guerra, originari dell’Ucraina. Il che porta inevitabilmente il discorso sull’attualità.
«Io credo nella circolarità della storia e chiunque conosca la storia dell’Ucraina non può non provare angoscia per questo paese che solo da 30 aveva conquistato l’autonomia e che ora è tornato a una sorte brutale di fosse comuni, stupri, esecuzioni. Dal punto di vista personale, sono molto angosciato. Quando giravo l’Ucraina per cercare le tracce della mia famiglia ho stretto tante relazioni, ora temo per la sorte dei miei amici e vedo nitidamente cosa ha vissuto mio nonno negli anni Quaranta».
Proprio la circolarità delle vicende umane è alla base del libro più recente, Tre anelli (2021). Conosce forse Vico?
«Certo, ma non in profondità. Credo comunque nel fatto che la storia si ripeta. La storia è circolare e la letteratura ricrea questa circolarità. Il punto è che noi spesso perdiamo la memoria. Nella scuola pubblica degli Stati Uniti la storia quasi non si insegna. Il 34 % degli americani pensa che la Seconda Guerra mondiale sia stata combattuta tra Russia da un lato e Germania e Stati Uniti dall’altro. E se certamente è doveroso insegnare la storia, è anche vero che dimenticare è un processo naturale, via via che i testimoni viventi di quell’epoca muoiono. Per questo accade che le destre si affermino ovunque, perché non c’è più memoria della Seconda Guerra mondiale. Non è possibile mantenere una contemporaneità della storia. Da noi, c’è un rappresentante del Congresso del Nord Carolina che è un aperto sostenitore di Hitler, ha circa 20 anni. Ecco, credo che 30 anni fa non sarebbe potuto accadere. Quindi oggi ci sono buone ragioni per essere spaventati».
Oggi la conoscenza e la memoria si confrontano con la questione della Rete e dei social.
«Sì, ma la memoria della Rete non è davvero memoria, è stoccaggio di materiali. La Rete appiattisce tutto. Ci sono sul web le testimonianze dei sopravvissuti all’Olocausto, ma ci sono anche le esaltazioni del fanatico di Hitler. Le nuove generazioni non hanno gli strumenti per poter distinguere».
Lei ha successo sia in Usa che in Europa. Per quale pubblico scrive?
«Dirò qualcosa di molto egoista: per me stesso. Scrivo quando ho un problema da affrontare, da risolvere, quando c’è una questione che mi interessa e quindi scrivo per me. Già il poeta greco Kavafis lo diceva: scrivere per compiacere il pubblico non dà buoni risultati».
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1 ottobre 2022 | 19:52
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