Roma. Quando a settembre sono cominciate le proteste per la morte di Mahsa Amini, l’aeronautica militare iraniana ha spostato degli aerei caccia in Kurdistan. Il messaggio era: se, almeno all’inizio, tollereremo le manifestazioni nelle grandi città (con alcuni esponenti del regime che condannavano le azioni della polizia religiosa in pubblico e il presidente che annunciava un’indagine minuziosa), con voi siamo pronti da subito a fare la guerra. Nella notte fra domenica e lunedì c’è stato un attacco con missili balistici e droni suicidi contro le montagne al confine tra l’Iraq e l’Iran che attraversano le zone curde dei due paesi. La città iraniana di Mahabad, che ha 300 mila abitanti e si trova a meno di due ore di auto da quelle montagne, adesso è una zona di guerra con i carri armati nella piazza centrale mentre in cielo ci sono gli elicotteri militari e dei droni identici ad alcuni di quelli che la Repubblica islamica ha venduto a Putin. Gli abitanti conoscono già le tecniche della guerriglia perché si preparano a questo momento da sette anni e in particolare da quando, nel 2015, l’unico albergo a quattro stelle della città puntava a ottenere la quinta e aveva bisogno dell’approvazione dei pasdaran.
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Cecilia Sala , 2022-11-22 06:00:00 ,
www.ilfoglio.it