Piango per te, povero notista politico, di qualunque testata tu sia. Piango non perché il tuo lavoro sia più commiserabile di altri, incluso il mio; piango solo perché ho scoperto, ahimè, di aver disimparato a ridere – e quale sevizia, quale mutilazione può essere più orribile di quella che ci vieta di ridere di ciò che è comico? Se lo domandava, proprio con queste parole, Cesare Garboli. Era il 1986, e l’occasione era l’intervista di Repubblica a un ex terrorista dissociato, a cui veniva chiesto di illuminare la logica politica dietro l’assassinio di un magistrato: “La risposta s’inoltrava in un tale ginepraio ideologico di minuziosi ‘distinguo’ tra diverse posizioni eversive, che lo stesso intervistatore, disorientato, senza più appoggio nella realtà, finiva col prestare una certa attenzione alle farneticazioni. Era un’intervista comica: ma come riderne?”. E’ grosso modo lo stallo in cui si trovano il cronista, il commentatore o l’intervistatore davanti alla decomposizione del Movimento 5 stelle. Peggio di loro, e più degno delle nostre lacrime, forse solo il disegnatore di diagrammi e infografiche, costretto a comporre tavole parolibere futuriste per dar conto di correnti, sottocorrenti, clan, capannelli campanilistici, cordate, bocciofile e quartetti canori, magari inventando per ciascuno un’etichetta tassonomico-politica.
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Il Foglio , 2022-07-02 11:06:00 ,
www.ilfoglio.it