Luigi Calabresi, commissario di polizia che si trovò al centro di un periodo oscuro e barbarico della nostra storia, fu assassinato cinquant’anni fa. Una generazione di italiani ha conosciuto solo il racconto dell’omicidio e delle sue conseguenze umane, civili. Non c’erano, hanno seguito le cose nei loro sviluppi successivi, non ricordano nemmeno chiaramente gli anni Settanta, maledetti, da Calabresi al caso Moro. La morale prevalente oggi è che la verità sul delitto fu accertata al di là di ogni ragionevole dubbio, mediante un lungo processo, ma non ha avuto il suffragio del rispetto a essa dovuto. C’è un’Italia che non accetta di considerare Adriano Sofri il mandante, e che non crede provato il ruolo di organizzatore e di killer di Giorgio Pietrostefani e di Ovidio Bompressi, secondo il resoconto in confessione giudiziale e la chiamata in correità fornito da Leonardo Marino, convalidato dalla sentenza definitiva dopo un lungo dibattimento e diversi pronunciamenti delle corti. E questo sarebbe l’ultimo scandalo di una storia cupa e avvelenata dal pregiudizio, al quale si sottrae solo una schiera di colpevolisti privi di dubbi.
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Il Foglio , 2022-05-18 06:00:00 ,
www.ilfoglio.it